29 mar 2018

La leggenda di uno spazio rituale: il labirinto

di Marilena Pecoraro


La leggenda narra che Pasifae,  moglie del sovrano di Creta Minosse rimase attratta da un meraviglioso toro bianco e lo confessò a Dedalo, artista geniale.  
Questi costruì per lei una giovenca lignea in modo che lei riuscisse ad essere posseduta dal magnifico animale accovacciandosi all’interno. Minosse, dopo che il frutto dell’unione nacque, il Minotauro, un essere mostruoso dal corpo d’uomo e dal capo taurino, per nascondere il tradimento della moglie agli abitanti dell’isola, commissionò al talentuoso artista la costruzione di un labirinto dove nessuno avrebbe potuto entrare e poi tornare. 

Dedalo, iniziato da Atene a tutte le invenzioni dell’arte e dell’industria, costruì un palazzo a forma di labirinto: il labirinto di Cnosso, che doveva essere un inestricabile susseguirsi di camere, corridoi, sale, finti ingressi e finte porte, luogo dove perdersi e da cui fosse impossibile uscire. 
Androgeo figlio di Minosse, giunto ad Atene per partecipe ai   giochi tauromachici, rimase ucciso dal toro e il padre, pazzo di dolore, si strappò la corona dalla fronte accusando gli ateniesi di quell’omicidio. La morte di Androgeo doveva portare loro sfortuna e da lì in poi avrebbero dovuto pagare un orribile tributo: ogni nove anni Minosse esigeva che mandassero a Creta sette giovani fanciulli e sette vergini, in sacrificio al Minotauro. 

Teseo, figlio del sovrano di Atene, per sciogliere la sua città dal sacrificio dei quattordici fanciulli di cui il Minotauro si cibava, si nascose fra loro per introdursi nel labirinto. Arrivato a Creta rimase abbagliato dalla bellezza di Arianna, figlia di Minosse, che gli procurò l’espediente per entrare e uscire dal labirinto. Teseo tramite un fuso, che lasciò all’entrata, riuscì a raggiungere il Minotauro, ucciderlo e uscire seguendo il filo che aveva srotolato dietro di sé. Poi fuggì con Arianna, a cui  aveva promesso di sposarla dopo l’uccisione del mostro, ma invece di portarla con lui, l’abbandonò sull’isola di Naxos per lasciarla a Dioniso. Teseo proseguì in direzione di Delo, dove ballò una danza che imitava le sinuosità del labirinto. Nella confusione, si dimenticò di cambiare le vele nere con quelle bianche. Il padre Egeo vedendo quel segno di sventura si uccise gettandosi nel mare.  
  
L’avventura del labirinto ha un significato di morte simbolica, un viaggio nel mondo degli inferi, un viaggio nell’aldilà. La via verso l’interno simboleggia la via verso il basso e l’uscita vittoriosa dal labirinto può essere paragonata al riemergere dalla superficie del mare. Teseo penetra da solo nel labirinto, sostiene la lotta col Minotauro, riesce anche a uscire dal labirinto mediante l’astuzia e la prudenza (filo di Arianna); superata questa prova diventa re e fondatore di città.


Ciascuno di noi costruisce il proprio labirinto. Incontrando numerosi ostacoli nel corso della vita e tentando di superarli, non facciamo altro che iniziare un percorso di crescita entrando e uscendo di continuo da labirinti quotidiani. Il nostro mondo è un caos, è il risultato di un processo mentale che viene da lontano, dal passato remoto. Il centro di questo meccanismo è situato proprio a Creta nel Tempio di Cnosso, un luogo denso di contenuti misterici. Pensando a Cnosso evochiamo subito il labirinto come forma simbolica perché rappresenta un vero e proprio mito: è il labirinto onirico che si traduce in realtà perduta nei secoli e in archetipo dell’architettura intricata creata dall’uomo. Come un sogno del passato, Cnosso è la conseguenza dell’inconscio umano che ragiona “labirinticamente”. E, d’altra parte, il dedalo è una forma primaria della mente, un contenuto celebrale.

Il mito greco del labirinto e del Minotauro di Cnosso si colloca tra la leggenda e l’allegoria, non è quindi un racconto verosimile ma evoca comunque figure e situazioni elevabili a simboli carichi di significato. C’è una connessione tra i miti arcaici e i simboli prodotti dall’inconscio: ciò consente di identificare e di interpretare questi simboli in un contesto che conferisce loro prospettiva storica non meno che significato psicologico. La mente inconscia dell’uomo moderno conserva tuttora quella capacità simboleggiatrice che un tempo trovava espressione nelle credenze e nei rituali primitivi: e tale capacità svolge ancora un ruolo di vitale importanza psichica.
Nel labirinto si nota una materializzazione pressoché perfetta del processo di iniziazione.

Il centro del labirinto è una realtà interiore, ci si incontra se stessi, un principio divino, un Minotauro o qualsiasi altra cosa possa essere rappresentata da un “centro”. Per centro si intendono anche i luogo e le possibilità di una conoscenza così fondamentale da richiedere un mutamento di direzione radicale. Chi vuole tornare fuori dal labirinto, deve fare dietrofront e ripercorrere i suoi passi.
L’inversione del moto al centro non significa perciò solo la rinuncia all’esistenza passata, ma anche un nuovo inizio. Chi esce dal labirinto, ne esce non come il vecchio, ma come rinato in una nuova fase o piano dell’esistenza. Al centro hanno luogo la morte e la rinascita. La via verso il centro del labirinto simboleggia la via verso il mondo sotterraneo, dove il ritorno alla madre Terra è connesso con la speranza di una rinascita. Il dedalo sembra assumere la forma di uno scambio simbolico in cui la morte e la vita sono lo sdoppiamento di una stessa realtà.

Il gioco del labirinto ha un significato rituale: serve a scongiurare – rappresentandola – la paura della morte, l’angoscia dell’uomo di fronte alla nullificazione di tutte le cose. E’ un percorso in due tempi: l’entrata nel labirinto e il faccia a faccia col mistero costituiscono la prima parte, in cui gli attori del gioco sperimentano la perdita di sé. Il ritorno alla luce rappresenta una nuova nascita, attesta la continuità della vita, che di generazione in generazione rinnova se stessa. Il “cuore” del labirinto assomiglia a un utero materno e il filo di Arianna ad un cordone ombelicale.
 Jung parla del Minotauro come dell’archetipo dell’immagine materna divorante e del percorso dell’anima verso l’equilibrio del proprio sé: esso è nella maggior parte dei casi espressione della brutalità, dell’istintualità irrazionale che non conosce morale, della violenza al di là del bene e del male. Il labirinto permette, attraverso la nostra guida, Arianna, di ritornare a tale componente di noi stessi, di prenderne atto, di rielaborarla per giungere ad un nuovo equilibrio. 

Nel labirinto, nel rito iniziatico, non c’è puro amore e mera fratellanza, bensì alleanza e violenza. C’è sostanzialmente una struttura negativa da cui tutto discende. L’amore è il frutto proibito, al centro del dedalo, un episodio all’interno di una complessiva impalcatura che comunica violenza.
Arianna rappresenta molto di più di un’aiutante che dona un mezzo fatato (il filo) a Teseo, per condurlo sano e salvo all’uscita del labirinto. Arianna è la rosa del labirinto, l’amore stesso. L’uomo, immerso nella violenza, sempre la cerca, la vuole. Arianna è l’eterno segreto della vita, fonte indispensabile che allontana i fantasmi e le paure.
Una linea dunque unisce vari aspetti del labirinto e su di essa viaggiano i frammenti principali della concettualizzazione sul dedalo: il rito e il culto, la danza rituale, il sacrificio e l’iniziazione, l’amore e l’uscita dal labirinto. 
L’esperienza del labirinto  propone un processo di iniziazione che ci conduce verso il Centro, dove si è soli di fronte alla realtà interiore per prenderne coscienza.
(testo tratto da Il labirinto, simboli forme e rappresentazione, di Marta Superbi e M.Cristina Butti)


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