FG #1

La prima fase, FAMILYGAMES #1 pranzi, iniziata nel 2015 all'Accademia di Belle Arti di Roma, a cura di Maria Cristina Reggio, Luca Coser e Roberta Baldaro,  si è soffermata sul pranzo, momento storicamente e culturalmente più simbolico della vita delle famiglie, soggetto storico dellʼiconografia artistica occidentale e fenomeno relazionale che si avvia a diventare unʼabitudine obsoleta.

LEZIONI SU PRANZI E FAMIGLIE 

ARTI VISIVE E PRANZI IN FAMIGLIA   
PRANZI DI FAMIGLIA AL CINEMA
BIBLIOGRAFIE SU FAMIGLIA E LETTERATURA
Seguono i concept dei video selezionati:


Antonella Nardi, Se non mangi,
 Ho sviluppato la relazione famiglia/cibo, come fonte in perenne trasformazione di significati ed esperienze: la famiglia- il pasto – la casa, da luogo/non luogo  di “unità” a  luogo/non luogo  di frammentazione, e il cibo occasione di incontro, dialogo, affetto, attenzione ma anche disagio e solitudine. Mi ha incuriosito la ritualità legata al consumo/preparazione dei pasti e al cibo che non solo alimenta, ma che è portatore di significato. Ho eseguito la ripresa tramite la fotocamera di un cellulare, e il suono che è una somma di suoni di tanti  pranzi, un suono che diventa memoria.

Antonello Bottaro, Uniti, 
 E' l'idea del pranzo come di un momento in cui si annullano i confini, un momento della confluenza, cibo e corpo, ma anche corpi diversi che si riconoscono nel consumare lo stesso pranzo in un annullamento del tempo e dello spazio. Il pranzo eredita e riassume il sentimento con le persone care e lontane, anche con i trapassati, con la natura che sembra scomparsa tra quattro pareti. Il pranzo dunque come catarsi del tempo e dello spazio, con un orologio che segna sempre la stessa ora.  I suoni sono l'echeggiare dei tintinni della forchetta nei piatti, anch'essi scanner di diversi spazi, cui si sovrappongono lampi, apparizioni, pensieri fugaci, improbabili trasmigrazioni, scambi degli sguardi o di vino col proprio doppio, fino alla permanenza finale della gattina (Briciola), protagonista degli ultimi frames.

Farnoosh Samadi, Un elefante nella stanza,
Si tratta di un progetto che può essere realizzato sia come video-installazione, sia  come cortometraggio.  Un elefante nella stanza è un'espressione tipica della lingua inglese per indicare una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata. L'espressione si riferisce cioè a un grande  problema di cui è nota l'esistenza,  ma che non si vuole vedere, e tutti preferiscono tacere.
Un elefante nella stanza è suddiviso in quattro video-immagini comunicanti, che formano un racconto  sincronizzato. La narrazione attraversa tutti gli schermi: le immagini sono parallele e in contrasto reagiscono tra di loro. Nella versione dell'installazione le quattro parti sono rappresentate su quattro schermi che formano quattro lati di una camera. Ogni schermo mostra una prospettiva diversa dello stesso luogo. Nella versione cinematografica il materiale non è stato montato in successione e la storia si svolge in un'unica narrazione con lo schermo diviso in quattro immagini. Il narratore non è completamente esterno alla fantasia, ma viene gradualmente coinvolto nelle vicende:la sua voce crea collegamenti con l'ambiente circostante e con la città giocando con le nozioni del reale e dell'immaginario.

Chihiro Taki, Disturbi Alimentari, 
"In quel periodo lei subiva un forte stress, mangiava sempre e vomitava di nascosto.  Non riusciva  a smettere da sola ed era molto triste per le persone che le volevano bene e le avevano cucinato quei pasti: i suoi amici o i suoi genitori che le spedivano il cibo dal suo paese".

Asefeh Esmaeilkousei, Survive,
Cosa succede in un pranzo famigliare? Succede che chi mangia vuole vivere.  Un pranzo famigliare classico quasi non esiste più  e anche il modello la famigliare è in via di estinzione, quindi ho deciso di pensare a sopravvivenza della famiglia: non solo quella umana, ma quella umana insieme a quella animale: una famiglia di pesci che vivono nell'acqua, elemento vitale per eccellenza.
Per il suono ho usato una voce sott'acqua che si riferisce alla vita intrauterina, a cui ho sovrapposto i rumori che sentiamo ogni giorno.

Erica Curci, 2XX, 
2XX ha il fine di rappresentare un comune rituale familiare, la condivisione del pasto.
Gli elementi, o i “soggetti” - un tavolo, una membrana trasparente, due aspic, due bisturi - sono riconducibili a quelli emblematici, caratteristici, di tale azione cerimoniale. In  2XX, i campioni genetici contenuti all’interno dei due aspic sul tavolo riconducono a due individui di sesso femminile, me e mia madre, accomunate appunto dal gene XX.
L’aspic, essendo trasparente, permette di vedere il suo interno, di scrutarne la composizione: è soggetto dell'opera,  in quanto è al suo interno che l’azione sta evolvendosi. I due aspic infatti contengono  componenti biologici i cui batteri, nella staticità apparente della scena, stanno moltiplicandosi: pur essendo due alimenti, in questo caso non hanno un fine nutritivo, ma piuttosto rappresentano il meccanismo inverso della nutrizione.

Ali e Shirin, Family Jackpot, 
Shole Zard è un dolce tradizionale iraniano, simbolo dei desideri spirituali di una singola famiglia: tutti i famigliari  lo cucinano insieme per un giorno e lo mangiano, a volte  anche in compagnia dei vicini di casa più stretti, durante una cerimonia che avviene in occasioni particolari per il nucleo famigliare. Quando si mangia questo dolce, ciascuno esprime dentro di sé un desiderio per sé, per i commensali oppure per coloro che lo hanno preparato.  Eurojakpot è invece un gioco moderno e assurdo, simbolo del più grande desiderio materiale contemporaneo, i soldi.  Nel nostro paese, l’Iran, i riti dei giochi d’azzardo sono vietati dalla religione e i soldi vinti al gioco non possono entrare nella vita di una famiglia.
C’è una similitudine e al tempo stesso un forte contrasto  tra i desideri espressi nel mangiare insieme il dolce Shole zard e quello che si manifesta nel giocare una schedina di un gioco d’azzardo. Poiché nella nostra vita da studenti a Roma, la nostra famiglia è rappresentata dalla comunità degli studenti, con cui condividiamo la maggior parte del nostro tempo e le nostre storie, oggi noi vogliamo combinare questi due desideri contraddittori: da un lato i diversi desideri interiori di ciascuno di noi, e dall’altro il jakpot, il gioco che per noi rappresenta  un desiderio vietato.
Abbiamo quindi preparato 60 piccoli dolci che abbiamo appoggiato sui numeri disegnati su  un grande modello della schedina dipinto da noi e ciascuno di voi è invitato a prendere e  mangiare uno di questi dolci, scoprendo un numero e, naturalmente,  esprimendo un desiderio. I primi sette tra voi  che mangeranno il dolce scopriranno i  sette numeri che giocheremo insieme in una vera schedina.












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